Autoemoterapia e ferite difficili: una cura antica è la nuova promessa
L’autoemoterapia di cui si parla in questo volume consiste nel prelevare al paziente il sangue da una vena (fra 5 e 20 cc) e, immediatamente dopo, nel somministrarglielo intramuscolo tal quale, senza nessuna sostanza aggiunta. Si tratta di una pratica terapeutica antica, presente come voce nell’Enciclopedia Italiana già nel 1930, ove viene definita “Metodo di cura che trova applicazione in molti stati morbosi ...”
Utilizzo questo tipo di autoemoterapia da oltre vent’anni per la cura delle virosi erpetiche; nel maggio del 2022 l’ho proposta a una 88enne diabetica con lesioni trofiche e necrotiche degli arti inferiori. Ciò che è accaduto su una delle lesioni a soli 7 giorni dalla prima iniezione (vedi foto)ha lasciato stupefatti paziente e familiari, e mi ha indotto a continuare le somministrazioni.
Il successivo andamento favorevole delle diverse ferite è documentato fotograficamente nel testo. In particolare, il miglioramento della lesione necrotica del primo dito del piede destro-per la quale al di là dell’amputazione nessun’altra prospettiva terapeutica sembrava possibile – mi ha portato a pensare che l’autoemoterapia favorisse la rigenerazione tessutale attraverso il miglioramento della microcircolazione, che, notoriamente, nei diabetici può essere severamente compromessa. Una prova a sostegno di questa idea l’ho successivamente ravvisata nei risultati ottenuti su una piaga torpida che è stata come una finestra aperta sul sottocutaneo. Entro 24 ore dalla prima iniezione, sul fondo grigio-giallastro della ferita sono comparse tante punte di spillo rosse (piccoli vasi sanguigni arteriosi) ed è iniziato il processo di guarigione.
Come può l’autoemoterapia determinare questi risultati?
Nel 1940 un chirurgo brasiliano, il dottor Jessé Teixeira, scoprì che l’autoemoterapia fa aumentare il numero dei monociti, ovvero dei precursori dei macrofagi; oggi, grazie alle sue numerose azioni inclusa quella sulla circolazione capillare, il macrofago è considerato una cellula chiave, oltre che per il sistema immunitario, anche per la rigenerazione tessutale.
È quindi l’attivazione del sistema monocito-macrofagico a poter spiegare l’applicazione in molti stati morbosi dell’autoemoterapia, che può risultare utile in tutte le situazioni nelle quali detto sistema gioca un ruolo importante: nei processi riparativi di ferite e piaghe da decubito, ad esempio, ma anche quando occorre migliorare l’efficienza immunitaria del paziente, oppure ancora quando ci si trova in presenza di malattie che compromettono la microcircolazione (il diabete, tanto per citare la più conosciuta).
Una cura tecnicamente semplice, praticando la quale non ho mai osservato effetti avversi a parte un’infrequente, transitoria dolenzia nella sede di iniezione.
Dott. Mauro Todisco
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