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Melatonina e Autoemoterapia: regressione di lesioni diabetiche degli arti inferiori. Riguardo al caso di A.G.

Perché lo considero importante

  • Perché, in quasi quarant’anni di attività professionale, un miglioramento come quello osservato su alcune delle lesioni di A.G. non l’avevo mai visto prima.

In casi simili ero sempre stato testimone della progressione verso la gangrena e la sepsi, quando non erano state praticate amputazioni.

  • Perché la stessa cura seguita da A.G. potrebbe avere un’utilità anche per altri pazienti con problemi vascolari.

I soggetti con piede diabetico, innanzitutto, ma anche quelli affetti da altre arteriopatie (coronariche, carotidee eccetera).

 

Perché ho proposto ad A.G. la cura che sta seguendo

A.G. è stata la prima paziente con problemi vascolari nella quale ho associato l’autoemoterapia praticata a cadenza settimanale alla melatonina e ad altre sostanze quali le vitamine C ed E.

L’autoemoterapia, che ho cominciato a utilizzare agli inizi del 2000 per la cura dell’herpes simplex, consiste nel somministrare al paziente, per via intramuscolare, il sangue appena prelevatogli da una vena (la quantità di sangue da impiegare varia, a seconda dei casi, fra i 5 e i 20 ml).

Nel caso di A.G., a orientarmi verso questa modalità terapeutica è stato ciò che è successo a fine aprile di quest’anno a un’altra mia assistita affetta da arteriopatia obliterante degli arti inferiori.

A febbraio 2022, dopo una visita di chirurgia vascolare, questa paziente era stata messa in lista per un intervento di rivascolarizzazione. Nell’attesa, le avevo proposto di fare qualche seduta di autoemoterapia perché, dall’ascolto di un’intervista al dottor Luiz Moura, ero venuto a sapere che un anziano collega brasiliano aveva risolto un problema analogo proprio utilizzando questa metodica.

Quando la paziente era stata chiamata per procedere alla disostruzione le avevo già praticato sei sedute di autoemoterapia. Con sorpresa prima sua e poi mia, nell’ascoltarla mentre me lo riferiva, il previsto intervento non era stato eseguito perché non era urgente farlo, le aveva detto questa volta il medico dopo averla visitata.

Così, recatomi a casa di A.G. per la solita iniezione di fattori di crescita dei globuli rossi (A.G. ha un’anemia conseguente all’insufficienza renale a sua volta causata dal diabete) raccontai dell’accaduto e proposi di tentare anche con l’autoemoterapia praticata settimanalmente.

Ciò che è successo in seguito è stato documentato dalle foto scattate dall’infermiera che segue A.G. a domicilio per le medicazioni.

Come può avere agito la cura

Non vi è dubbio che laddove le lesioni di A.G. sono migliorate deve essersi verificato un aumento del flusso sanguigno nelle aree sedi delle alterazioni.

Particolare interesse, poi, riveste a mio parere il sensibile miglioramento della lesione necrotica interessante il primo dito del piede destro. Qui, infatti, è legittimo ritenere che nell’insorgenza della lesione sia co-implicata la microangiopatia diabetica, ovvero la compromissione anatomica e funzionale della microcircolazione, sicché il risultato ottenuto da A.G. potrebbe indicare un’utilità della cura anche a questo livello.

Quali meccanismi possono essere entrati in gioco nel determinare il risultato?

Senza alcuna pretesa di esaustività, propongo l’ipotesi causale che segue considerando:

  1. a) alcune funzioni esercitate nel corpo dai fagociti mononucleati, vale a dire i monociti, prodotti dal midollo osseo, e i macrofagi, ossia le cellule nelle quali i monociti circolanti maturano e si trasformano una volta insediatisi nei tessuti;
  2. b) alcune funzioni svolte dalle piastrine;
  3. c) le influenze esercitate sopra le funzioni di cui alla lettera a) e b) rispettivamente dall’autoemoterapia e dalla melatonina.

Relativamente al punto a)

Il sistema dei fagociti mononucleati, termine con il quale oggi si designa il sistema reticolo-endoteliale di Aschoff-Landau, ha un ruolo fondamentale nella difesa dell’organismo contro gli agenti patogeni (batteri, virus, funghi, parassiti), ma svolge pure funzioni che vanno oltre quelle propriamente immunitarie. Essendo costituito da cellule con capacità di fagocitare sostanze di vario genere (microaggregati di fibrina, tossine, sostanze estranee inerti eccetera) può essere considerato come l’impresa di pulizia del corpo, tanto che le sue cellule vengono spesso definite “gli spazzini” dell’organismo.

Ora, monociti e macrofagi assolvono, fra gli altri, il compito di tenere puliti i vasi arteriosi rimuovendo i grassi che, in conseguenza di una lesione dell’endotelio, cioè del tappeto di cellule che copre la parete dei vasi sanguigni, penetrano nello strato della parete arteriosa a questo immediatamente sottostante: l’intima.

Già nel 1981 Ross G. Gerrity, della Research Division della Cleveland Clinic Foundation, Ohio, pubblicava sull’American Journal of Pathology un lavoro nel quale dimostrava l’esistenza di un “sistema di pulizia dei monociti” in cui un gran numero di monociti circolanti invade l’intima delle aree a rischio di lesione, diventa fagocitante, accumula lipidi e migra nuovamente nel flusso sanguigno attraversando l’endotelio arterioso, per poi provvedere allo “smaltimento” dei grassi fagocitati verosimilmente nel sistema reticoloendoteliale.

Con queste premesse appare sensato ritenere che l’avanzamento della lesione aterosclerotica possa, almeno in parte, essere il risultato dell’incapacità del sistema dei fagociti mononucleati di rimuovere una quantità sufficiente di lipidi; lo pensavano già nel 1975 Adams, Bayliss e Turner, patologi della Guy’s Hospital Medical School di Londra, quando scrivevano che “Tuttavia, indipendentemente da ciò che causa il deposito di lipidi nell’aterosclerosi, il loro accumulo deve riflettere una mancata rimozione dei lipidi da parte della fagocitosi.

A ben vedere, questa ipotesi non contrasterebbe neppure con il modello attuale della genesi dell’arteriosclerosi denominato “ipotesi della reazione al danno”, secondo cui l’evento iniziale sarebbe una lesione a carico dell’endotelio e i fagociti mononucleati – monociti e macrofagi – sarebbero coinvolti nella progressione della malattia.

La presenza di queste cellule all’interno delle placche aterosclerotiche, infatti, così come la loro conseguente partecipazione ai processi infiammatori aterosclerotici, potrebbe essere dovuta, per un qualche motivo, al fatto che quelle stesse cellule, una volta entrate nel deposito che dovevano vuotare, non sono poi riuscite a uscirne.

Relativamente al punto b)

Delle piastrine conosciamo bene le influenze sulla coagulazione, ma una delle loro funzioni più importanti è quella di contribuire in maniera decisiva all’integrità anatomica e funzionale dell’endotelio vascolare, lo strato cellulare che per circa 7000 m2 di estensione copre l’intima dei vasi sanguigni e regola funzioni importantissime quali, ad esempio, la fluidità del sangue, il tono vasale, gli scambi di nutrienti, il passaggio di cellule immunitarie dal sistema circolatorio ai tessuti.

L’endotelio richiede continui processi metabolici di sintesi e riparazione che le piastrine realizzano attraverso segnali chimici, mediante interazioni momentanee (meccanismo tipo dài e vai), o attraverso adesioni cellula-cellula mediate da recettori, e la funzione endotelio-trofica delle piastrine può essere considerata come il risultato, la sintesi, di tutte le interazioni, anche di natura opposta, che accadono fra l’endotelio e le piastrine durante i viaggi di queste ultime nel sistema circolatorio. Come abbiamo visto al punto a) precedente, oggi si ritiene che il processo aterosclerotico inizi col danno endoteliale e con il successivo passaggio di lipidi all’interno dell’intima. Già soltanto questo dato, considerato l’impatto che le problematiche vascolari aterosclerotiche hanno come causa di morte e disabilità, renderebbe ragione dell’assoluta importanza della funzione endotelio-trofica esercitata dalle piastrine, una funzione al cui pieno svolgimento contribuisce in maniera decisiva, come vedremo, proprio la melatonina.

Relativamente al punto c) per quanto concerne l’influenza dell’autoemoterapia sul sistema dei fagociti mononucleati

Abbiamo già visto che il sistema dei fagociti mononucleati gioca un ruolo importante nel mantenere pulite le arterie. Ne consegue che disporre di strumenti in grado di agire sull’efficienza di quel sistema, strumenti, diciamo così, capaci di attivare l’impresa di pulizia dell’organismo, potrebbe risultare molto utile in chiave anti-aterosclerotica. La ricerca sta infatti muovendosi anche in questa direzione; recentemente, ad esempio, l’informazione ha dato risalto a uno studio condotto da Università statunitensi su nanoparticelle che, nei topi, sono state in grado di attivare la fagocitosi dei macrofagi.

Ebbene, ottantadue anni fa, nel 1940, un chirurgo brasiliano, Jessé Teixeira, pubblicò un lavoro* nel quale riferì di aver praticato con efficacia l’autoemoterapia per la prevenzione delle complicazioni polmonari su 150 pazienti operati e, fra i meccanismi responsabili di quel risultato favorevole, chiamò in causa proprio la stimolazione del sistema dei fagociti mononucleati.

Il sistema reticolo-endoteliale di Aschoff –Landau è potentemente stimolato dall’autoemotrasfusione”, scrisse, e a sostegno di questa affermazione elencò i risultati di alcuni esperimenti fra cui quello in cui, con l’autoemoterapia, la percentuale di monociti presenti nel liquido di una vescicola formatasi sulla pelle in seguito all’applicazione di una sostanza ad azione vescicatoria era salita dal 5% al 22% in otto ore, era ancora al 20% dopo 72 ore ed era ritornata gradualmente al 5% nell’arco di 7 giorni (una precisazione: col termine autoemotrasfusione Teixeira intende l’autoemoterapia; egli scrive, infatti, che “… mentre il paziente è ancora sul tavolo operatorio, vengono prelevati 20 cc di sangue da una vena nella piega del gomito, che viene immediatamente iniettato nel gluteo. …”)

Texeira aveva condotto il suo studio su sollecitazione del dottor Sylvio D’Avila, giovane e brillante direttore del reparto di cui egli era interno, che aveva letto sull’American Journal of Surgery l’articolo Autohemotransfusion in Preventing Postoperative Lung Complications del dottor Michael W. Mettenletter.**

Mettenletter, chirurgo dell’Ospedale di New York e docente post-universitario di Chirurgia, vi riferiva di aver usato l’autoemoterapia come strumento di medicina preventiva in 300 pazienti e di aver avuto complicazioni polmonari post-operatorie in un solo caso.

Sempre Texeira, inoltre, scriveva che non era riuscito a pubblicare nel suo articolo un gran numero di osservazioni, anch’esse favorevoli all’utilità del metodo, che erano state fatte da colleghi dei quali riportava nomi e istituti di appartenenza.

Ho voluto contestualizzare il lavoro di Teixeira non solo perché emerge, in diversi chirurghi dell’epoca, un interesse sorprendente verso l’autoemoterapia, ma anche perché il numero globale dei casi a favore dell’utilità preventiva di questa metodica appare più che ragguardevole.

L’azione dell’autoemoterapia sul sistema monocito-macrofagico descritta da Teixeira ha trovato conferma in un studio del 2007 nel quale l’autrice, la dottoressa Moara Rosin, conducendo una ricerca su 10 volontari sani, ha documentato un incremento medio della percentuale di monociti nel sangue periferico rispettivamente del 37,5% e del 54,1% a due e cinque giorni di distanza dall’autoemoterapia.

*Jessé Teixeira, Autohemotransfusäo complicaçöes pulmonares pós-operatório; Brasil-Cirúrgico, vol. II, marzo 1940, n. 3, pagg. 213-230.

**Michael W. Mettenletter, Autohemotransfusion in Preventing Postoperative Lung Complications; The American Journal of Surgery, vol. 32, Issue 2, May 1936, pagg. 321-323.

 

Relativamente al punto c) per quanto concerne l’influenza della melatonina sulla funzione endotelio-trofica delle piastrine

Mentre il ruolo delle piastrine nel mantenimento dell’integrità anatomico-funzionale dell’endotelio è accettato, altrettanto non può dirsi per il ruolo che la melatonina gioca al riguardo.

A indagare queste relazioni è stato il compianto Prof. Luigi Di Bella, già docente di fisiologia presso l’Università di Modena; a lui si devono gli studi sulle intime connessioni che esistono fra le piastrine e questa sostanza.

Un giorno, a metà degli anni ’90, durante uno dei miei accessi al suo studio, il Professore mi raccontò che aveva cominciato a capire qualcosa della melatonina durante un viaggio in macchina da Modena a Trento. Nell’auto, insieme con lui e con l’autista, c’era anche un paziente leucemico con un numero di piastrine bassissimo. Di Bella si aspettava un evento emorragico da un momento all’altro, ma non accade niente.

“Sì, non aveva piastrine”, mi disse, “ma aveva la melatonina.”

Voleva intendere, il Professore, che la melatonina assunta dal paziente aveva come sostituito le piastrine nella loro funzione, impedendo il sanguinamento.

Anni dopo, grazie alla melatonina, fui testimone della cessazione di un sanguinamento potenzialmente mortale in una paziente gravemente piastrinopenica che aveva già dovuto trasfondere 28 sacche di globuli rossi in una settimana.

In quella circostanza avevo prescritto la melatonina a un dosaggio doppio rispetto a quello che all’epoca utilizzavo nei piastrinopenici, e il sanguinamento era cessato dopo cinque giorni di assunzione della sostanza senza che il numero delle piastrine fosse risalito, come se, anche questa volta, la melatonina avesse sostituito le piastrine nella loro funzione antiemorragica.

Proposi il caso per la pubblicazione all’American Journal of Therapeutics, che aveva già accolto altri miei lavori; venne pubblicato nel 2003 sul n. 10 della rivista (pagg 135-136) col titolo “Severe bleeding symptoms in refractory idiopathic thrombocytopenic purpura: a case successfully treated with melatonin”.

Cosa vogliono dire il caso del passeggero leucemico e quello della paziente piastrinopenica? Che, per la funzione stabilizzatrice e antiemorragica svolta dalle piastrine sull’endotelio, molto verosimilmente è essenziale la melatonina.

D’altra parte, le piastrine sono in grado di sintetizzare la melatonina e la contengono al loro interno in concentrazioni 400 volte superiori rispetto a quelle del plasma.

La melatonina, dal canto suo, è in grado di disaggregare le piastrine quando sono aggregate.

Ora, dal momento che l’aggregazione piastrinica, se diventa irreversibile, determina la scomparsa delle piastrine dal circolo e il contestuale rilascio di tutto il materiale contenuto al loro interno, la melatonina, disaggregando le piastrine, ne prolunga fisiologicamente la vita media. Questo effetto, a sua volta, facilita il completo svolgimento delle molteplici attività piastriniche e contribuisce a permettere che le medesime attività risultino adeguate, nel tempo e nello spazio, alle necessità del sottostante endotelio.

Per semplificare potremmo paragonare la rete dei vasi sanguigni a quella delle strade: le piastrine possono allora essere assimilate ai veicoli che circolano equipaggiati con i materiali che occorrono alla manutenzione stradale, mentre la melatonina può essere considerata come un operatore che, oltre a prendere parte in proprio all’attività manutentiva, interviene sulla gestione del materiale da riparazione presente all’interno dei veicoli (le piastrine).

Nel 2005, avendo osservato con la melatonina risultati favorevoli anche nella sclerosi sistemica (sclerodermia), una malattia il cui “primum movens” è ritenuto essere il danno endoteliale, ed avendo già, all’epoca, un lavoro su questa materia accettato per la pubblicazione dall’American Journal of Therapeutics (venne pubblicato nel 2006 sul n. 13 della rivista, pp. 84-87), pensai che avrebbe potuto essere utile cercare di integrare le conoscenze che si avevano della melatonina in rapporto a piastrine ed endotelio. Quando il lavoro fu pronto, col titolo Melatonin: a key in platelet physiology and platelet-endothelium interrelations, lo sottoposi a una nota rivista internazionale di fisiologia.

Nelle intenzioni quella pubblicazione avrebbe dovuto rendere nota a una vasta platea di medici cose che note non erano, proporre una visione fisiologica complessiva delle interrelazioni melatonina-piastrine-endotelio, e mettere in evidenza le nuove prospettive terapeutiche che potevano derivarne. A dicembre del 2005 ricevetti la risposta negativa del direttore della rivista: il lavoro non sarebbe stato pubblicato.

In questo sito ho riproposto quel lavoro nella sua versione in italiano, all’interno di “Melatonina, endotelio e Covid-19”, e nella versione in lingua inglese in “MELATONIN: A KEY IN PLATELET PHYSIOLOGY AND PLATELET-ENDOTHELIUM INTERRELATIONS”.

Considerazioni finali

Il 29 maggio 2022 ho pubblicato su questo sito l’articolo A.G.: un caso da seguire. Vi ho descritto ciò che è accaduto fino a quel momento a una mia paziente ottantottenne, diabetica con insufficienza renale grave e lesioni trofiche e necrotiche a carico degli arti inferiori, seguendo una cura basata sulla melatonina e l’autoemoterapia praticata settimanalmente.

L’articolo si chiudeva con l’impegno a fornire nei successivi due mesi informazioni sull’andamento clinico della paziente.

Siamo arrivati al 12 agosto e, ritengo, si possa avanzare qualche conclusione. Come si evince dall’osservazione delle foto, alcune delle lesioni sono evolute molto favorevolmente: la lesione del polpaccio dx è stata quella che è migliorata più rapidamente, ed è al momento risolta; un netto miglioramento si è avuto poi a carico del tallone sinistro e, ciò che a mio avviso è maggiormente sorprendente, anche a carico del primo dito del piede destro. Non credo, infatti, che qualcuno, osservando le foto di quel dito scattate il 3, il 10 e il 13 maggio, avrebbe proposto qualcosa di diverso dall’amputazione.

Ora, considerando che non ho mai visto prima risultati come quelli osservati su A.G. e che l’unica differenza, rispetto alle precedenti mie proposte terapeutiche, è stata in questo caso l’autoemoterapia praticata ogni settimana, sono portato a pensare che proprio questa metodica e la tempistica della sua esecuzione siano state fondamentali ai fini del risultato.

Nelle pagine che precedono ho proposto un’interpretazione dei meccanismi che possono essere implicati nell’azione vascolare sia dell’autoemoterapia che della melatonina, ma, tornando a paragonare i vasi sanguigni alle strade, penso, come ho già detto qualche riga fa con altre parole, che nel risultato di A.G. sia stata determinante la ripetuta attivazione di un esercito di spazzini (quella promossa dall’autoemoterapia), prima ancora che l’ordinaria manutenzione del manto stradale (quella operata dalle piastrine).

Ad ogni modo, il futuro chiarirà le possibilità di questo approccio nella cura delle problematiche vascolari. Al momento, l’unico altro paziente su cui l’ho utilizzato è una mia assistita diabetica e ipertesa, anch’essa come A.G. ottantottenne, con una dolorosa ulcera vascolare arteriosa della gamba destra.

La lesione è guarita in due settimane.

Dott. Mauro Todisco




NB: nel sito è possibile vedere l’evoluzione degli arti  attraverso foto scattate ogni settimana

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