Lisozima e covid19
Il lisozima “… è uno dei fattori della immunità aspecifica cellulare ed umorale. I principali effetti farmacologici della sostanza sono rappresentati dalle azioni antibatterica, antivirale ed immunomodulante. … Nei riguardi dell’attività antivirale, la molecola interviene durante la fase esocellulare del virus attivando fattori difensivi (attivazione sistemi immunitari) e/o attraverso una interazione con recettori cellulari di superficie (inibizione attività sinciziogena). …” [Il testo virgolettato è tratto dalla scheda tecnica della specialità medicinale Lisozima SPA, disponibile sul sito dell’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA).]
Certo, leggendo queste parole stupisce che con tutte le incertezze e i limiti che purtroppo caratterizzano la cura delle infezioni da SARS-CoV-2, il Lisozima, del quale è ufficialmente riconosciuta l’attività antivirale, non sia stato ancora valutato su larga scala in funzione anti Covid-19.
C’è un motivo, però, alla base di questo mancato interesse, ed è da ricercare nel fatto che a tutt’oggi “la sua importanza in relazione all’immunità naturale non sembra essere generalmente apprezzata”, come ebbe a dire lo stesso scopritore della sostanza, il premio Nobel per la medicina Alexander Fleming, nella sua relazione sul Lisozima durante la riunione della Royal Society of Medicine del 1932.
L’attualità della frase pronunciata da Fleming quasi novant’anni fa si evince anche da fatti recenti: mentre l’immunità naturale, innata e aspecifica, è stata recentemente chiamata in causa per spiegare come mai i soggetti in cui è particolarmente efficiente – i bambini e i giovani – presentino infezioni da SARS-CoV-2 a decorso generalmente molto favorevole e spesso asintomatico, nessuna chiamata in causa è stata fatta per il Lisozima sebbene esso sia un componente essenziale dell’immunità naturale e sia presente in più alte concentrazioni proprio nei soggetti giovani.
A giugno 2020, quando ho proposto un approccio volto a migliorare l’efficienza del sistema immunitario per contrastare le virosi (Contravirus, Vimarangiu, giugno 2020), il Lisozima, al dosaggio di 1,5 gr die, figurava fra le sostanze da assumere a scopo preventivo e a ottobre 2020, con la ripresa della pandemia, ho iniziato a prescriverlo ai miei assistiti positivi al SARS-CoV-2. Ho utilizzato dosi fra i 4 e i 7,5 grammi giornalieri sulla scorta dei brillanti risultati terapeutici che avevo in precedenza osservato, coi medesimi dosaggi, nella cura dell’Herpes Zoster.
Ho descritto questa esperienza in un volume pubblicato a marzo 2021 – Il Lisozima, cardine dell’immunità naturale – in cui ho riportato, oltre alle argomentazioni scientifiche in favore dell’uso del Lisozima nell’infezione da nuovo coronavirus, anche diverse testimonianze; fra queste quella di una paziente che ha vissuto una sorta di prova e controprova terapeutica, perché è migliorata assumendo inizialmente il Lisozima, è peggiorata quando lo ha smesso dietro consiglio di altro medico, ed è poi nuovamente migliorata, e quindi è guarita, ritornando alla cura iniziale.
[Al 5 febbraio 2021, data alla quale si riferiscono i dati riportati nel libro Il Lisozima, avevo avuto 72 pazienti positivi al SARS-CoV-2 (5 di età inferiore ai 18 anni, 23 di età compresa fra 18 e 39 anni, 32 fra 40 e 65 anni, 8 fra 66 e 80 anni, 4 ultraottantenni); 26 dei 72 pazienti avevano sviluppato l’infezione in forma sintomatica (6 nel gruppo 18-39 anni, 9 in quello 40-65 anni, 7 in quello 66-80 e 4 fra gli ultraottantenni). Per 3 dei 26 pazienti sintomatici si era resa necessaria l’ospedalizzazione; 2 di loro non avevano avuto necessità di ventilazione invasiva durante il ricovero e non hanno avuto reliquati di malattia alla dimissione, una paziente di 84 anni è deceduta per distress respiratorio].
Studi recenti sembrano ulteriormente arricchire gli argomenti in favore dell’uso del Lisozima nell’infezione da SARS-CoV-2. Tuttora, infatti, prevale l’idea che responsabile degli aggravamenti clinici sia la tempesta citochinica, ovvero una risposta iperinfiammatoria dell’organismo che interviene a replicazione del virus ormai cessata, ma i risultati di un lavoro condotto da autori dell’Università di Trieste, dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) di Trieste e del King’s College di Londra, hanno messo in discussione l’idea che nei casi avanzati di Covid-19 non ci siano più attività e replicazione virale.
Il lavoro in questione ha riguardato l’analisi post mortem di campioni ottenuti da 41 pazienti deceduti per Covid-19 e ha documentato, oltre alla persistenza di RNA virale in cellule polmonari ed endoteliali, la presenza del virus all’interno di agglomerati cellulari patologici, definiti “sincizi”, originati dalla fusione virus-indotta di cellule che normalmente tappezzano le pareti degli alveoli polmonari, gli pneumociti (Bussani R, Schneider E, Zentilin L, Collesi C, Ali H, Braga L, Volpe MC, Colliva A, Zanconati F, Berlot G, Silvestri F, Zacchigna S, Giacca M. Persistence of viral RNA, pneumocyte syncytia and thrombosis are hallmarks of advanced COVID-19 pathology. EBioMedicine. 2020 Nov;61:103104. doi: 10.1016/j.ebiom.2020.103104. Epub 2020 Nov 3).
L’attività sinciziogena, che porta alla fusione di cellule del contagiato, permette ai virus di continuare a infettare senza esporsi allo spazio extracellulare, dove potrebbero essere neutralizzati dagli anticorpi, e non è esclusiva del SARS-CoV-2 (anche i virus dell’Herpes, del morbillo e dell’AIDS, ad esempio, ne sono provvisti). Il nuovo coronavirus, però, ha la capacità di determinare la fusione cellulare e, dunque, la formazione di sincizi proprio là dove avviene lo scambio di ossigeno e anidride carbonica fra il sangue dei capillari polmonari e l’aria, vale a dire a livello della parete degli alveoli polmonari. Naturalmente ciò ha portato a correlare questa conseguenza anatomopatologica dell’infezione con l’insufficienza respiratoria tipica dei casi avanzati di malattia. Altrettanto naturalmente sono iniziate le ricerche per individuare principi attivi in grado di contrastare l’attività sinciziogena del SARS-CoV-2; fra le sostanze con caratteristiche di questo tipo è stata proposta la niclosamide, un farmaco già utilizzato come antielmintico (Braga L, Ali H, Secco I, Chiavacci E, Neves G, Goldhill D, Penn R, Jimenez-Guardeño JM, Ortega-Prieto AM, Bussani R, Cannatà A, Rizzari G, Collesi C, Schneider E, Arosio D, Shah AM, Barclay WS, Malim MH, Burrone J, Giacca M. Drugs that inhibit TMEM16 proteins block SARS-CoV-2 spike-induced syncytia. Nature. 2021 Apr 7. doi: 10.1038/s41586-021-03491-6).
Sicuramente non sarà sfuggito al lettore ciò che è scritto sulla scheda tecnica riportata a inizio articolo, cioè che: “… Nei riguardi dell’attività antivirale, la molecola interviene durante la fase esocellulare del virus attivando fattori difensivi (attivazione sistemi immunitari) e/o attraverso una interazione con recettori cellulari di superficie (inibizione attività sinciziogena). …”.
Al Lisozima, quindi, è stata già riconosciuta la capacità di inibire l’attività sinciziogena; basterebbe questo, a mio avviso, a giustificare la valutazione per efficacia del Lisozima nelle infezioni da SARS-CoV-2, ma un ulteriore quanto importante avallo in questa direzione arriva proprio da un altro studio sulla niclosamide.
Nel febbraio del 2021 la rivista scientifica PLoS One pubblica l’articolo “Development and evaluation of inhalable composite niclosamide-lysozyme particles: A broad-spectrum, patient-adaptable treatment for coronavirus infections and sequalae”.
Poiché una delle maggiori limitazioni all’uso della niclosamide come antivirale è la sua scarsa solubilità in acqua, ciò che rende difficile il raggiungimento di concentrazioni terapeuticamente rilevanti con la somministrazione della sostanza per via orale, Ashlee D. Brunaugh, Hyojong Seo, Zachary Warnken, Li Ding, Sang Heui Seo e Hugh D.C. Smyth, gli autori del lavoro, hanno pensato al rilascio della niclosamide direttamente nelle vie aeree realizzando un composto inalabile costituito da niclosamide e Lisozima.
Avendo notato che alla somministrazione della niclosamide insieme con il Lisozima conseguiva un aumento dell’efficacia anticoronavirus di 4 volte rispetto alla somministrazione della sola niclosamide e non spiegandosi quel grande incremento di efficacia soltanto con l’aumentata solubilità dell’antielmintico, gli autori hanno poi voluto verificare se il Lisozima poteva avere un’efficacia sua propria, diretta.
Hanno così provato – ed è stata la prima osservazione sperimentale di questo tipo – che il Lisozima inibisce la replicazione virale del SARS-CoV-2.
Un lavoro, quello di Brunaugh e colleghi, che da un lato offre un riscontro sperimentale molto importante a chi utilizza il Lisozima in terapia e, dall’altro, indica un’ulteriore possibile modalità di utilizzo di questa sostanza, cioè la via inalatoria.
Prima di ospitare l’intervento della collega Agnese Valentini, che recentemente ha inserito il Lisozima ad alti dosaggi giornalieri fra le sostanze utilizzate per la cura dei propri pazienti domiciliari positivi al SARS-CoV-2, voglio dare spazio a una considerazione: in natura, quando si parla di esposizioni agli agenti infettivi, si parla di situazioni fluide nelle quali lo stato di salute o di malattia del contagiato dipende in larga parte dal “peso” delle difese che egli mette in campo.
“Peso” che per il Lisozima può essere inteso non soltanto in senso figurato ma anche letterale. Fleming ha infatti dimostrato che lo stesso batterio può risultare sensibile o resistente al Lisozima a seconda che quest’ultimo sia presente in maggiore o minore concentrazione. Altrettanto accade a mio parere con i virus. Nell’herpes zoster, ad esempio, ho constatato che per avere buoni risultati terapeutici occorrono dosaggi giornalieri di almeno 4 grammi e, d’altra parte, di “dosaggi adeguati” hanno già parlato oltre 60 anni fa autori italiani fra i primi a descrivere l’attività antivirale del Lisozima [Rodolfo Ferrari, Carlo Callerio, Giuseppe Podio, Antiviral activity of Lysozyme, Nature volume 183, page 548 (1959)].
Quando viene usato in terapia, dunque, anche per il Lisozima sembra calzante l’assioma “frapper fort, frapper vite” di Paul Erlich.
Intervento della Dott.ssa Agnese Valentini
Ho gestito personalmente 8 persone con la terapia mirata con lisozima di cui 3 persone con età maggiore di 80 anni, 2 persone con importanti fattori di rischio – obesità grave, ipertensione, diabete mellito – associati a forme severe di Covid-19 e 3 persone senza particolari fattori di rischio.
Nessuno dei soggetti trattati con lisozima ha avuto bisogno di supporto ventilatorio pur avendo sviluppato polmonite interstiziale con tosse e saturazione minima raggiunta pari a 95%. Solo un paziente con obesità grave è stato ricoverato in via precauzionale considerando lo stato di comorbidità, ma non ha avuto bisogno di terapie aggiuntive. In 3 casi ho dovuto aggiungere in terapia altri farmaci galenici coadiuvanti quali angiotensina 1-7 con buoni risultati. Tutti i pazienti hanno avuto come terapia base, iniziata appena comparsi i sintomi, steroidi, eparina a basso peso molecolare, azitromicina, vitamina D ad alte dosi (100.000 UI/die per 6 giorni, poi, dopo dosaggio ematico dei livelli di vit D, eventuale prosecuzione con 2.000 UI/die), melatonina 10 mg/die. I risultati sono stati nel mio piccolo molto validi e il dosaggio di lisozima che ho usato è stato di 15-20 gr/die. Ho inoltre utilizzato il lisozima in profilassi per i contatti stretti, a dosaggi più bassi, ma in questo ambito non ho dati sufficienti per esprimermi.
Il lisozima andrebbe a mio avviso utilizzato in modo sistematico e la tempistica di inizio terapia è importante ai fini dei risultati in termini di efficacia. Il reperimento dello stesso si ha sotto forma di capsule o compresse da 500 mg, ma le dosi utilizzate sono dell’ordine di 15-20 gr/die dunque sarebbe meglio utilizzare direttamente la polvere.
Speriamo di avere maggiori dati sulla potenzialità del lisozima per il basso costo e gli ottimi risultati ottenuti.
Dott.ssa Agnese Valentini
Specialista in Anestesia-Rianimazione, Terapia del Dolore, Nutrizione-Nutraceutica, Agopuntura
Ringrazio la dottoressa Valentini per il suo intervento.
“We shall hear more about Lysozyme” (sentiremo ancora parlare del lisozima): Amalia Koutsuris, batteriologa greca seconda moglie di Fleming, ha raccontato che suo marito era solito pronunciare questa frase con assoluta fiducia.
Ebbene, non possiamo certo dire che fino ad ora la previsione di Fleming si sia realizzata.
Del Lisozima non si parla o si parla poco, e le conoscenze su questo prezioso componente dell’immunità naturale si fermano generalmente all’effetto batteriolitico e alla presenza nelle varie secrezioni dell’organismo (saliva, lacrime eccetera).
Nulla o quasi viene detto riguardo al fatto che il Lisozima concorre in maniera decisiva alle proprietà antisettiche dei tessuti, nulla o quasi riguardo alla sua attività antivirale o all’influenza che esercita sulla riproduzione e differenziazione delle cellule immunocompetenti, o sui meccanismi dell’infiammazione.
Sfugge, di conseguenza, la complessa funzione protettiva che in modo diffuso e pervasivo il Lisozima esercita in natura contro i patogeni, e con essa sfuggono anche le sue potenzialità terapeutiche.
Per questo motivo voglio volgere al futuro la previsione di Fleming: “Sentiremo ancora parlare del Lisozima”?
Credo che dovremmo augurarcelo. Tutti.
Dottor Mauro Todisco