Libri

Non morirai di questo male

Autore: Mauro Todisco

Luigi Di Bella. La storia del medico che ha aperto una nuova via nella lotta al cancro.

Nell’agosto del ’93, in seguito a una circostanza del tutto causale, il dottor Mauro Todisco conosce il professor Luigi Di Bella. Scopre così che questo scienziato schivo, distante da qualsiasi forma di protagonismo e pressoché sconosciuto al vasto pubblico, è il medico che per primo al mondo ha utilizzato a fini terapeutici la Melatonina, sostanza prodotta dall’organismo alle cui proprietà  curative si è interessata recentemente la comunità  scientifica.
Ha inizio così, da parte del dottor Todisco, una assidua frequentazione dello studio del professor Di Bella; un rapporto che, iniziato per ragioni esclusivamente professionali, nel tempo conduce l’autore alla determinazione morale di divulgare la scoperta dell’anziano maestro.
Gli incontri col Professore segnano il filo narrativo attraverso cui Todisco racconta la vita e il percorso scientifico di Luigi Di Bella avvalendosi, fra l’altro, della testimonianza di pazienti oggi vivi grazie alle cure dell’insigne studioso.

L’introduzione al libro del dottor Mauro Todisco scritta dal Professor Luigi Di Bella:

Introduzione del Prof. Luigi Di Bella

Quando il dottor Todisco chiese il mio parere sulle prime pagine del suo libro rimasi in verità  un po’ lusingato, fintantoché tuttavia riconobbi come sia sempre buona norma riconoscere sempre i propri limiti e quanto sia meglio fare che ricevere un bene. La giustificazione del libro sta nel tentativo di far conoscere la possibilità  di migliorare l’esito di alcune malattie, ancor oggi gravi e mortali. Quasi tutti hanno deriso le proposte da tempo avanzate, prima ancora tuttavia di degnarsi di sapere di cosa si trattava, dispregiando aprioristicamente le persone e le fonti, salvo a confondere melanina con melatonina, a ridurre la funzione della melatonina a regolatore del ritmo circadiano, ad identificare l’azione dell’ACTH con quella dei cortisonici in genere, a restringere l’azione della somatostatina alla sola inibizione del GH. Se gli spregiatori di mestiere fossero capaci di capire i pensieri di N.J. Wald (“Ciba Foundation Symposia 113”, pagg. 226 e seg.) forse non cambierebbero ancora strada per inconfessabili motivi. Dichiara Wald: “Molti ritengono che prima di cominciare a testare qualcosa nella pratica clinica si debba capire come essa agisce. Ciò è un errore. Molti fra i farmaci più efficaci in medicina si è visto che erano attivi ben prima di capire come agissero”. Purtroppo “viviamo in un clima in cui la società guarda con scetticismo all’introduzione di nuove sostanze chimiche” (Sporn M.B.: Ibidem), per cui è lecito chiedersi: “Dobbiamo realmente attendere di capire il meccanismo molecolare prima di fare un tentativo?”” In effetti in queste condizioni “il desiderio di capire come qualcosa agisce viene soddisfatto a spese dell’ “esperimento pragmatico” (Wald: Ibidem). Purtroppo “la mancanza di cognizione sul meccanismo d’azione viene spesso accampata quale motivo per arrestarsi. Ritengo sia un errore anche questo.”” (Wald: Ibidem). Occorrerebbe che si verificasse “un completo cambiamento nell’attitudine mentale”, soprattutto da parte di “coloro che si considerano scienziati di riferimento” e che “non tendono ad una sperimentazione chimica quale fine delle loro ricerche” (Hichs: Ibidem). La “tremenda resistenza” dei “medici pratici” deriva dal fatto che “essi non vogliono sperimentare nuove sostanze… non ancora accettate dalla gente”, altrimenti “rischiano di avere delle grane professionali”. Le vere ragioni “nell’impiantare una ricerca” sono più “di ordine sociale ed economico” che pertinenti all’ignoranza dei rispettivi “meccanismi molecolari”. La Medicina Moderna si caratterizza per l’accanimento diagnostico e l’ostinazione terapeutica. Un’affezione, chiara per mille segni, viene formulata ufficialmente solo dopo settimane e mesi di ricerche anche ridondanti, puntando ad una precisione perfettamente inutile in pratica, intanto che la malattia progredisce fino a raggiungere uno stadio ormai irrecuperabile. D’altra parte una terapia viene considerata corretta solo quando segue ciecamente le linee rigide dei protocolli ufficiali, elaborati con criteri tanto discutibili quanto solo sperimentali, alieni comunque dal complesso e glorioso intuito clinico che rese giustamente famosi indimenticabili clinici nostrani. Fondamentale caratteristica della clinica è l’ammissione dell’illimitata varietà di concatenamenti patogenetici; ne deriva una vasta gamma, colorata ciascuna da sfumature infinite, adatte al paziente singolo e non alla classe di malattie. Il rifiuto di accettare rigidi schematismi in terapia medica oncologica deriva soprattutto dalla convinta coscienza della generale ignoranza sulla biologia molecolare dei tumori ed esprime il valido scetticismo circa i dogmatici e radicati concetti di chemioterapia. A prescindere da questi concetti, che potrebbero peccare di faziosità, basterebbe sostare in un consultorio o reparto di oncologia per assodare quale “città dolente”, quale “luogo di eterni dolori”, quale sito “di perduta gente” siano. Ci si consola in compenso delle insistenti notizie stampa e radio che fan chiasso per le sconvolgenti futuristiche scoperte balenate nella mente di un celeberrimo scienziato, che non ha mai tastato il polso di un solo canceroso. Eppure non ci vuol molto a convincersi che la guerra dichiarata al cancro da R.M. Nixon nel 1971 con la firma del National Cancer Act, e che avrebbe dovuto esser vinta entro il 1990, è stata tristemente e clamorosamente perduta: di cancro si continua a morire, – e si muore male -, come potrebbero testimoniare quei 526.000 pazienti che sono morti nel 1993 in USA. Nell’ultima riunione (dicembre 1993) dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS) sono corse parole grosse (“insults”) fra sostenitori di opposte tendenze. Evidentemente cominciano a farsi strada dei barlumi di verità, come appare dalla manifesta aspirazione di A. Lupulescu (Hormones and Vitamins in Cancer Treatment, CRC Press, Boca Raton, (USA) 1990, pgg. 308) di disporre di “migliori metodi per la terapia del cancro nei prossimi anni&”; nonché dalla altrettanto chiara dichiarazione di R.K. Oldham (Principles of Cancer Biotherapy, Mc Dekker, Inc, N.Y. 1991, pgg. 691) di elaborare “nuovi metodi di pensiero e nuove strategie per il controllo del cancro” dato che “la maggior parte dei farmaci chemioterapici è tossica e di limitato valore medico”. In una non più recente monografia di T. Buchner, C.D. Bloomfield, D.K. Hossfel e J. Schumann (Tumor Aneuploidy, 1985, pgg. 150, ISNB, 3-540-15376-4) la paziente di una faceta caricatura, ammalata di tumore, si riconosce già “deleted” (morta) all’apprendere i pareri dei tre consulenti: il chirurgo che propone di “operate”, il radioterapista di “radiate”, il chemioterapista di “alkilate”. Eppure, malgrado la quotidiana esperienza negativa, i metodi convenzionali permangono immutati. I motivi di questo misoneismo, ovattato da minuti perfezionamenti, sono molteplici. Un primo motivo si origina dalla inestinguibile eco che le splendide conquiste della vaccino e sieroterapia, della sulfamido e dell’antibioticoterapia hanno avuto in medicina e che hanno permeato corrispondenti proposte terapeutiche per il cancro. Tuttavia né il “frappez vite, frappez fort” (picchiare presto, picchiare forte), nè la “therapia sterilisans magna” (grande terapia sterilizzatrice) di Erlich hanno trovato qui adeguato conforto. Ciò malgrado, le rivoluzionarie scoperte dell’immuno-chemioterapia continuano a dominare le proposte terapeutiche del cancro, che mostra una ben più complessa e varia essenza di molte malattie immunitarie.Un altro motivo della persistenza di metodi inefficaci dipende dal fatto che le attrezzature e le mentalità vigenti sono impostate per seguire i vecchi metodi convenzionali, che vengono per ciò stesso ritenuti inevitabili e quali doverosi. Solo pochi sono i pazienti che mostrano autonomia di pensiero e spirito critico, per cui si rivolgono a cure “alternative” malgrado le fosche, minacciose prognosi dei terapisti ufficiali. In questo clima di suggestione, fiducia, speranza, timori, ha inizio la via crucis dei cicli e sintomi relativi, che hanno l’esito noto, addolcito da cifre statistiche opportunistiche e mai verificate. TV e stampa qualificano ormai il cancro come “malattia inguaribile”, qualifica mal conciliabile con l’ostentazione di tante fauste prognosi. Qual è la causa di questa quotidiana contraddizione? I pro e i contro dei metodi convenzionali sono stati esaurientemente analizzati nella documentatissima monografia del Congresso Americano (U.S. Congress, Office of Technology Assessment (OTA) Unconventional Cancer Treatment, OTA-4-405, Washington D.C., U.S. Printing Office, September 1990), dove si giunge con una fine, acuta ed esauriente analisi a criticare prima, e a respingere infine, i metodi non convenzionali, senza tuttavia proporre altri metodi in sostituzione. Si tratta di uno dei metodi per fare accettare come ineluttabili i metodi in uso, essendo tutti gli altri criticabili e vani, se non dannosi. Il “2nd International Workshop on Interferons”, tenuto dal 22 al 24 aprile 1979 nella prestigiosa Rockfeller University, sotto gli auspici dell’American Cancer Society, del Memorial Sloan-Kettering e del National Cancer Institute, creato da poco, nonché del National Institute for Allergy and Infection Diseases, fu sponsorizzato dai colossi multinazionali dell’industria farmaceutica, ormai non meno potenti delle sette sorelle del petrolio, quali la Baxter, la Hoffman-La Roche, Merck Sharpe & Dome, Pfizer, Smith Kline & French, Schering Plough. Le industrie farmaceutiche dominano ormai larga fetta degli scambi e dei capitali mondiali, finanziano, sovvenzionano, eseguono ricerche ad altissimo livello, perché il progresso scientifico può identificarsi entro ampi orizzonti col benessere economico. Scienza ed economia si condizionano ormai a vicenda anche in campo medico, con ricerche tecnologicamente avanzatissime, ideate e messe a punto dalla genialità di illustri scienziati. Le spese incontrate saranno presto e largamente ultracompensate per lunghi anni a venire. Se all’invenzione del nuovo prodotto si accompagna il monopolio d’uso – così come affiora la tendenza in campo internazionale –  il successo economico sarà allora totale. La guarigione del cancro rientra entro questi obiettivi. Il cancro è una malattia ricca, perché tutti sono disposti a dare tutto pur di venirne fuori. L’obiettivo dominate della medicina moderna è la guarigione del cancro, e a questo fine tendono pertanto le ricerche sperimentali delle Case farmaceutiche, ovviamente in chiave economica. Attualmente un rimedio che guarisca il cancro manca, e probabilmente non ci sarà in futuro, perché non sarà una sostanza, bensì un metodo. Il mondo della genetica, che ha sconvolto le basi della biologia molecolare, illuminerà inopinatamente la biologia molecolare, ma non ci darà probabilmente il rimedio contro il cancro. Il cancro si presenta come una nuova forma di vita, diversa da quella dell’ospite per molteplici aspetti ed inconciliabile con l’ospite stesso. Il mezzo di guarigione difficilmente si originerà in un laboratorio di ricerca; esso deriverà più probabilmente da un lungimirante pragmatismo, prima e indipendentemente che dalla conoscenza del suo meccanismo d’azione. Seguendo quest’ordine d’idee, e senza derogare dai principi etici basilari, le uniche vie per migliorare la qualità e allungare il corso della vita, dovrebbero seguire i seguenti essenziali principi: escludere azioni comunque nocive; esaltare le difese ed il trofismo organico; ridurre la formazione e l’attività dei fattori di crescita. Alcuni di questi principi, da noi proposti e battuti da circa trent’anni non aspirano a nessuna pretesa di assoluta originalità. Essi si differenziano solo per la natura chimica (retinoidi, tocoferoli, melatonina) e modalità d’applicazione. La sperimentazione è stata fatta su pazienti volontari, dopo illustrazione dei principi della cura e dopo che avevano rinunciato volontariamente alle cure proposte, in parte già personalmente provate. La diagnosi era stata fatta in Ospedali e Cliniche Universitarie, e, in qualche caso anche in Case di Cura private. Parte delle copie delle cartelle cliniche o dei fogli di uscita l’ho ordinata e computerizzata. Debbo l’impianto e l’organizzazione degli schedari, la raccolta della corrispondenza alla instancabile alacrità della prof.ssa Maria Teresa Rossi, la cui immatura perdita ha paralizzato per anni tutto. Il materiale sarebbe ancora un grosso mucchio informa di carte se non avessi avuto il silenzioso incoraggiamento e fattivo aiuto da parte dei fratelli Quaini, rispettivamente Ordinaria di Matematica e Ordinario di Informatica, che mi hanno così manifestato la loro gratitudine per la guarigione del padre, affetto da ca. della lingua, già parzialmente glossectomizzato due volte e da dieci anni ormai in ottime condizioni di salute. Un aiuto tanto determinante quanto disinteressato l’ho avuto dai coniugi d.ri Molinari, che hanno sacrificato denari e speso il poco tempo che lasciava loro libero la Farmacia. I rapporti con i medici convenzionati o liberi sono stati molto difformi: da quelli che ricordavano con affettuosa nostalgia le lezioni di Fisiologia e di Specializzazione del sottoscritto, coi quali si discuteva scherzosamente e serenamente, a quelli non sempre sinceri e cordiali con i PURI. In queste discussioni non mancava il collega, che, per non perdere la faccia, raccontava tutto e il contrario di tutto, esponendo la medicina spicciola a fumetti, come c’era il collega serio, che si rammaricava per l’ignoranza alla quale era costretto per guadagnarsi il pane con la sua attività professionale. Il collega delle cliniche ed ospedali era quasi sempre acido e saccente, e si guardava bene dal consentire la continuazione delle cure prescritte, sempre esaltato dalla sua curiosa psicologia di credersi tanto più importante quanto peggiore era la prognosi avanzata. I rapporti divengono a volte tesi, come nel caso di quel genitore che mi confidava di avere imposto a quattr’occhi la mia terapia, prima di dimettere il figlio, ormai sprizzante vitalità da 15 anni. Quasi sempre invece per sottrarsi alle cure convenzionali occorreva firmare il foglio di dimissioni volontarie o non presentarsi più al prossimo ciclo. Ad una paziente che non si era più presentata venne richiesto telefonicamente se era morta; la paziente si curò sempre a casa, accudendo alle sue normali occupazioni, si è sposata, ha messo al mondo due figlie sane, e continua sana la sua vita. Un paziente undicenne, trasferito da un Ospedale ad una clinica specializzata pediatrica con diagnosi di linfoma maligno n.H. III stadio, curato col protocollo del Saint Jude Research Hospital per Linfoma maligno n.H. di tipo Burkitt fu dimesso dai genitori appena sopravvennero gravi disturbi neurologici e curato a casa: il paziente ha frequentato le scuole dell’obbligo, partecipato onorevolmente a gare di sci, ha salutato felice la dichiarazione di abilità al Servizio Militare. Viceversa un adolescente trombocitopenico marchigiano, ormai guarito, sarebbe ritornato volentieri alla sua trombocitopenia per sottrarsi al Servizio Militare. Un ammalato 34enne, che presentava un infiltrato linfomatoso alla palpebra superiore dx lo perdetti di vista e solo dopo anni mi fu rivelata la sua morte in ospedale. C’è un grosso divario fra scienza e realtà, pagato dalla sofferenza e dalla morte del prossimo. Il terrore della diagnosi suscita inestinguibile angoscia e abbattimento, che scompaiono lentamente quando, imboccata la nuova strada, ricrescono i capelli e ritorna la vecchia voglia di vivere. I criteri seguiti per la cura dei linfomi n.H., che diventano perciò affezioni di modesta entità, valgono anche nelle grandi linee per altre neoplasie: dai tumori della mammella a quelli dei polmoni, da quelli della cavità  orofaringea, nasale e paranasale a quelli dell’esofago e dell’apparato gastroenterico, della pelle e del sistema nervoso centrale. Per i tumori dell’apparato genitale maschile e femminile, per il retinoblastoma, i neuroblastomi il tumore di Wilms, occorre diversificare alcuni mezzi terapeutici. E’ inutile aggiungere che l’insieme delle cure deve adattarsi alle caratteristiche del tumore e alle condizioni del paziente. Ma che la via giusta da seguire sia quella imboccata lo dimostrano i risultati conseguiti finora, anche se in condizioni difficili, in mezzo ad ostilità di ogni genere. Ruolo determinante per il buon esito è la tempestività delle cure, come dimostrano i risultati negli stati precancerosi, e preinvasivi. Non ha importanza rilevante la rapidità di scomparsa di un linfonodo, di un polipo, di un manicotto attorno all’esofago, ecc.; conta maggiormente il ripristino funzionale e la sua stabilizzazione, mentre la scomparsa della manifestazione anatomica si evolve con maggior lentezza. Nei giudizi prognostici ci sembrano eccezionalmente interessanti le considerazioni di Magrath I.I. (The non-Hodgkin lymphomas, E. Arnold, London, 1990, pgg. 430): “… i nostri attuali concetti sulle entità nosologiche è probabile che cambieranno di molto. ” Sono difficilmente conciliabili con la rapidità di evoluzione della tecnologia e della scienza i principi di 50 anni fa della Chemioterapia. Il National Institute for Science and Technology è passato dalla dotazione di 246 miliardi di dollari nel 1992 a 520 miliardi nel ’94, e diventeranno 935 miliardi nel 1995. Il 30 giugno si è riunito alla Casa Bianca il suo consigli per stabilire la futura attività, che sta “nell’intervallo fra Scienza e società, dalla sanità, trasporto, educazione ed ambiente alla sicurezza nazionale e alle tecnologie civili” (J. Mervis: Science, 1994, 265, 182). Il ministro francese per la difesa F. Leotard ha incluso nel consiglio scientifico della difesa rappresentanti delle Università , di Istituti pubblici e privati di ricerca, per coordinare ricerche civili e militari e per integrare le tecnologie relative con quelle dell’area biologica. (D. Butler: Nature, 1994, 367, n. 6459, pgg. 102). Si punta verso una collaborazione fra governo e industria in tutte la nazioni fra le quali emergono la Svizzera e il Giappone. La ricerca nelle Università ed Istituti di ricerca può avere fine a se stessa, prepara i nuovi tecnici e conferisce attestati di carriera professionale. Questi fondamentali miraggi oscurano a volte o annientano l’orientamento pragmatico, come forse avviene oggi nel campo dei tumori.

Prof. Luigi Di Bella

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